Ho appena appreso l’incredibile notizia del ritorno di “The Wall” di Roger Waters. Sarà in Italia il prossimo 26 luglio allo stadio Euganeo di Padova e il 28 luglio allo stadio Olimpico di Roma.
Per l’occasione ripropongo un mio vecchio articolo scritto per Eclipse Magazine (www.eclipse-magazine.it).
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“Stavo tentando di dare un senso alla mia vita e in qualche modo, beh sì, devo dire di avercela fatta.” (Roger Waters in un’intervista al Rolling Stone)
Mattone dopo mattone, sofferenza dopo sofferenza, Waters ha costruito il suo muro – The Wall – la sua barriera di separazione dalla realtà, dal mondo sensibile in cui si sentiva un pesce fuor d’acqua. La sua vita ha trovato senso nel sodalizio tra la musica e la comunicazione visiva che, come un terremoto, ha buttato giù quel muro all’apparenza insormontabile e indistruttibile. Con “The Wall” Roger Waters ha effettuato un percorso di catarsi interiore e creativa che lo ha condotto alla piena coscienza di sè e degli altri. Se è vero che nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma, in realtà quel muro non è stato abbattuto ma si è tramutato nella forza creativa di Waters.
Prima di entrare nel vivo del disco, occorre analizzare il contesto in cui è stato creato poiché è nella sua genesi che si possono trovare i significati più reconditi dell’intera opera frutto della geniale follia di Waters. Tutto ebbe inizio nel 1977 durante l’ultima disastrosa tappa del tour “In the flesh”. L’impianto audio era talmente scarso da venire coperto dalle urla del pubblico euforico ed indisciplinato. Accadde poi che un ragazzo ubriaco si arrampicò sulla barriera che separava il gruppo dagli spettatori, Waters perse la pazienza e gli sputò addosso. Fu un gesto impulsivo e sconsiderato che segnò il bassista al punto da mettere in discussione il suo rapporto con i fan e con la band stessa. I Pink Floyd erano allo sfascio e, nonostante il loro incredibile successo, stavano finendo in banca rotta a causa di investimenti sbagliati. Per risanare le finanze dovettero produrre un disco in poco tempo. Prontamente arrivò “The Wall”, l’ossessione personale di Waters. Era ricco e famoso ma incapace di sfuggire ai suoi problemi cominciati con la perdita del padre, vittima della Seconda Guerra Mondiale. Decise di reagire come una vera e propria rockstar: si rintanò in una casa isolata nella campagna inglese con la sola compagnia di un sintetizzatore e di un mixer e diede vita ad una grande opera rock nel bel mezzo dell’esplosione punk. Il risultato fu un doppio album costruito su tre livelli d’ispirazione: uno autobiografico, uno derivato dall’osservazione della società e l’altro frutto di puro artificio narrativo. Waters ripercorre in musica l’intera vita di Pink, un personaggio dalla psicologia pirandelliana che attinge all’iconografia della rockstar. Simbolicamente, nel primo disco, le difficoltà e i traumi esistenziali del protagonista vengono rappresentati come singoli mattoni che vanno a costruire un muro di isolamento che lo allontanano dalla realtà, fino alla completa alienazione…”just another brick in the wall”. Nel secondo disco, a muro completato, si ricomincia daccapo: dal vagito, dalla nascita. Pink ricerca i mattoni che hanno costruito il muro per affrontare introspettivamente i propri problemi. Dalla condizione di totale isolamento, cerca di riaprire qualche squarcio verso l’esterno (“Is there anybody out there?”) per giungere al completo abbattimento del muro che lo riporterà finalmente in contatto con il mondo esterno. La struttura scelta da Waters è quindi quella di un doppio percorso, due strade che rappresentano un percorso unico ma anche due vie diverse come fossero paradossalmente due rette sia parallele sia incidenti. La trama narrativa è costruita su molteplici livelli d’interpretazione che diventano parte di un’opera unica come infiniti giochi di specchi, riflessi di vita in cui l’ascoltatore può identificarsi. Uno di questi livelli è quello della follia incarnata da Syd Barrett. Il muro può infatti rappresentare anche la pazzia, la barriera che ci divide dalla realtà, quella stessa barriera che ha separato Syd dal gruppo. Il riferimento al diamante pazzo che per anni ha ossessionato la vita di Roger è rintracciabile nella fragilità della rockstar Pink, nel suo urlo disperato in “Nobody Home”, nel suo deserto interiore causato dalla mancanza di contatti con l’esterno. Che sia proprio la pazzia la via d’uscita? Il rifiuto e la negazione del mondo posso salvarci dal dolore? E’ ciò che si domanda Waters ma è anche ciò che più lo terrorizza e che tenta di esorcizzare.
L’alternarsi di momenti di intimismo lirico, di violenze frammentate spesso scatenate dalla magistrale chitarra di Gilmour, di leit motiv d’impronta classica, di crescendo improvvisi delle tastiere e accordi distanti tra loro su di un tappeto vellutato hanno fatto di “The Wall” un’opera memorabile impressa nei cuori di milioni di ascoltatori in tutto il mondo.
(Fonte: http://www.eclipse-magazine.it/cultura/musica/deep-rock/%E2%80%9Cthe-wall%E2%80%9D-%E2%80%93-pink-floyd.html)